Sex offender: il primo anno di lavoro trattamentale dell’UTI
Condividiamo con piacere un servizio di Vanity Fair (luglio 2006) sulle professioniste del CIPM durante il primo anno di lavoro dell’Unità di Trattamento Intensificato (UTI) per autori di reati sessuali presso la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Sono state intervistate: Carla Xella (ora presidente del CIPM Lazio), Francesca Garbarino (ora vice-Presidente CIPM), Donatella Zaccaria (arte terapeuta UTI) e Silvia Cavalli.
“Tutti possiamo avere di tanto in tanto fantasie “proibite”: la differenza sta nel fatto che queste persone le hanno coltivate, ne sono state invase e le hanno tradotte in atto. C’è un libro che si intitola I buoni lo pensano i cattivi lo fanno. Qui i cattivi diventano consapevoli di quello che hanno fatto e ne parlano con noi. Da queste confidenze inizia il lavoro (…), si dà alle cose il nome che hanno, si nominano i reati, loro ci raccontano nei dettagli la violenza commessa”.
L’obiettivo del lavoro è “fare in modo che questi detenuti si rendano conto della gravità del reato e del perchè lo hanno commesso per evitare che, una volta usciti, lo ripetano. Si cura per prevenire. Studi e sperimentazioni trentennali condotti in Canada e negli Usa hanno dimostrato che i sex offender sono recuperabili. Molti di loro da piccoli hanno subito lo stesso tipo di violenze che commettono e si stima che l’80% dei reati sessuali avvenga nell’ambito familiare” si legge nell’articolo.
“Se chiedi loro come stavano, come erano i rapporti con mogli, madri o compagne, rispondono tutti: “Normale”. Poi scavi e scopri che quello che per loro è normale in realtà è pessimo perchè sono stati abusati, molestati o violentati da piccoli, perchè hanno avuto famiglie non adeguate, genitori violenti, sadici, padri maltrattanti e madri succubi. Se un bambino cresce in un ambiente così, crede che quella sia la normalità e sviluppa rapporti malati anche da grande. Per loro, nominare il vissuto e riconoscere le emozioni è una conquista” ricorda Francesca Garbarino.