Il Dott. Paolo Giulini affronta il delicato tema della “castrazione chimica” in un approfondito confronto con l’Avv. Antonella Calcaterra, ricordando in prima battuta che la terapia farmacologica non è indicata in tutti i casi di reati sessuali, anzi; afferma, infatti che “la categoria di quei soggetti che possono eventualmente trarre beneficio da questo tipo di somministrazione farmacologica sono quei soggetti che sono affetti da importante parafilia, cioè da una patologia nella gestione dei propri impulsi sessuali devianti che è caratterizzata dai termini definiti dal DSMV. (…) In questi casi la letteratura internazionale suggerisce di integrare ai trattamenti criminologici e psicologici dei supporti farmacologici”.
E prosegue: “il reato sessuale ha una caratteristica pesantemente relazionale, non pulsionale. (..) Il reato sessuale nel nostro paese è un reato che si commette all’interno di relazioni fiduciarie dove la dinamica dell’intimazione, del controllo, dell’abuso di posizione dominante attira molto di più la persona che commette queste condotte che non l’impulso deviante di tipo violento o parafilico, allora che senso ha centrare tutto su una terapia farmacologica(…)? (…) Tutti quelli che abbiamo trattato in questi anni (…) sicuramente il 100% di costoro ha avuto un’infanzia non protetta. Ora, il testosterone o l’antagonista al testosterone ha a che fare con la possibilità di elaborare una sofferenza di un’infanzia non protetta, si o no? Io credo che non abbia molto a che fare con questo lavoro”.
L’Avv. Calcaterra riassume egregiamente l’intervento del Dott. Paolo Giulini e afferma: “sicuramente c’è una categoria di destinatari, molto ridotta rispetto alla più ampia categoria degli autori sessuali, sui quali potrebbe avere un senso sperimentare un trattamento farmacologico, naturalmente sempre accanto a un intervento (…) molto più ampio di trattamento della e sulla persona”. Il Dott. Giulini specifica poi che si tratta di un tipo di popolazione penale e che quindi il trattamento non è necessariamente di tipo psicoterapeutico, non è un trattamento legato solo alla salute della persona, ma alla gestione delle suo condotte. È un trattamento criminologico clinico perché parte dal fatto che queste condotte sono condotte devianti, che generano delle vittime, che la persona non ha consapevolezza e non ha sviluppato un livello adeguato di empatia rispetto alla sofferenza delle persone che subiscono questi atti distruttivi.
Il Dott. Paolo Giulini non esclude la possibilità di sperimentare una terapia farmacologica, ma sottolinea che “il giudice non può essere lui a indicare il tipo di intervento, (…) ma deve essere responsabilità del medico [nei casi di terapia farmacologica] (…) scegliere il trattamento migliore per l’intervento (…) Io non avrei nessun problema a sperimentare le terapie farmacologiche nell’ambito dei nostri programmi trattamentali sia in carcere sia sul territorio (…) per verificare questo tipo di interventi per ridurre la recidiva, sulla piccola parte di popolazione che ha queste problematiche”.
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