Riportiamo di seguito il testo dell’articolo di RadioPopolare, frutto di un’intervista al Dott. Paolo Giulini del 23 novembre 2019 rispetto alla violenza di genere e alle possibilità di intervento in senso preventivo, con particolare riferimento al Protocollo Zeus.
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SERVIZIO A RADIOPOPOLARE SUL PROTOCOLLO ZEUS
Sabato 23 novembre 2019
Per la giornata internazionale contro la violenza di genere, la Questura di Milano ha presentato dati e protocolli di prevenzione su stalker e molestatori domestici. Lo ha fatto con un convegno e una pubblicazione che si intitolano “Questo non è amore“.
Ma come prevenire la violenza di genere? Innanzitutto, prendendo in carico le segnalazioni prima che diventino reati penali e provare a intervenire. Due gli strumenti: l’ammonimento del Questore per chi mette in atto comportamenti molesti o violenti, fisici o psicologici, e il protocollo Zeus, ovvero un tentativo di trattare la persona ammonita perché provi a mettersi in discussione.
Questura di Milano, via Fatebenefratelli. Piove a dirotto. I poliziotti di guardia sono tutti uomini. Uomini nei corridoi, lungo le scale. Ma non bisogna farsi ingannare dalla prima impressione perché le donne qua ci sono e spesso contano.
Quarto piano. Divisione anticrimine. Il primo dirigente è Alessandra Simone, un curriculum coi fiocchi. Avvocato, master in criminologia e poi in abuso dell’infanzia e psicologia del trauma, ha fatto la gavetta in Calabria indagando sulle ‘ndrine di Gioia Tauro. Dieci anni alla Criminalpol con notevoli successi e poi a Milano è stata a capo della sezione della Squadra Mobile che si occupa del contrasto alle violenze sessuali e ai reati in danno dei minori, avviando anche un nuovo corso di repressione e di coordinamento con il Soccorso violenza sessuale e domestica della clinica Mangiagalli.
Violenza di genere: gli strumenti disponibili
Il suo racconto comincia dagli strumenti legislativi a disposizione degli operatori di sicurezza:
Dal 2009 a questa parte, quando è stato introdotto il reato di atti persecutori ed è stato introdotto anche l’istituto del ammonimento del Questore, che valuta proprio la fase preventiva, è cambiato l’approccio sia del legislatore sia di chi si deve occupare sul campo di questi fenomeni. Abbiamo degli strumenti che ci consentono di alzare l’asticella della prevenzione e fare in modo che si possa intimare uno stop al soggetto che si sta comportando male, nel senso che comincia ad avere delle deviazioni che poi possono diventare oggetto di un procedimento penale se non bloccate prima.
Quante volte abbiamo sentito dalle cronache di donne che hanno segnalato, chiesto protezione e lanciato l’allarme e poi sono state colpite? Troppe. Lo strumento identificato dal legislatore per prevenire la violenza di genere prima che sia troppo tardi è da qualche anno l’ammonimento anche per i maltrattamenti in famiglia e mette sullo stesso livello la segnalazione della vittima e quella di qualsiasi altra persona.
Abbiamo dei numeri. Aumentano di anno in anno gli ammonimenti del Questore per stalking. La vittima di stalking decide di chiedere un ammonimento perché ritiene che ancora non sia il caso di andare ad aprire un procedimento penale. Ancora di più, però, è l’intuizione del legislatore del 2013, quando ha introdotto l’istituto della ammonimento per violenza domestica che, a fronte di reati come percosse o lesioni che sono perseguibili a querela di parte, può essere richiesto da chiunque. Può farlo il medico o l’operatore di polizia che fa un intervento presso un’abitazione, oppure l’insegnante che capisce che c’è un caso di violenza di genere.
Può farlo chiunque, con la garanzia dell’anonimato nell’ambito delle fasi del procedimento amministrativo. Io segnalo questa situazione all’ufficio stalking e maltrattamenti delle divisioni anticrimine di tutte le questure d’Italia e so che la mia segnalazione finisce là. Io non avrò più nessuna parte in questa attività. Anche in una fase successiva del procedimento amministrativo, laddove magari l’ammonito dovesse chiedere l’accesso agli atti, sono certo che non saprà mai che attraverso la mia segnalazione è nato tutto questo procedimento. E questo è il vero successo perché gli ammonimenti per maltrattamenti in famiglia sono cresciuti notevolmente nel corso degli anni.
Violenza di genere: il protocollo ZEUS
E adesso che abbiamo ammonito l’uomo, cosa succede nella vita reale? Chi affronta la prevenzione sull’uomo violento? Perché l’avviso della questura sicuramente è un deterrente, ma concretamente cosa si può fare? In questi casi è chiaro anche nei procedimenti penali che bisogna approvare altri strumenti, quelli della relazione, dell’educazione e della mediazione. Per questo, primo in Italia, è nato il protocollo Zeus. Un invito a un confronto.
Dal 4 aprile 2018 il protocollo Zeus accompagna l’ammonimento. La Questura di Milano, prima in Italia – ma si tratta di un progetto che adesso si è esteso a tutte le questure d’Italia – ha fatto un protocollo con il Centro italiano per la promozione della mediazione diretto, dal professor Giulini, che si occupa proprio di rieducazione dei maltrattanti, e ha stabilito che tutti i soggetti ammoniti per stalking, violenza di genere e cyber bullismo dopo l’ammonimento svolgano un percorso di recupero trattamentale in questo centro. Lì gli specialisti iniziano a far capire loro cosa non va bene nel loro modo di interagire con la persona che in quel momento ha chiesto che venisse erogato nei loro confronti l’ammonimento.
L’ammonimento, nel momento in cui arriva qualcuno e lo chiede oppure arriva una segnalazione da parte di chiunque, è sottoposto ad una valutazione da parte dell’ufficio competente, che è quasi alla stregua di una vera e propria indagine penale. Non si non si ammonisce se non ci sono delle oggettive motivazioni ed evidenze. Alla luce di questo ci sarà il provvedimento di ammonimento.
L’ammonito viene invitato formalmente da noi a presentarsi presso il CIPM. È un invito corredato da data, ora e luogo dell’incontro e nell’80% dei casi, pur essendo un invito formale, loro ci vanno. E in pochissimi casi ci sono state delle recidive.
Via Correggio, zona Fiera, Milano. Piove ancora a dirotto. Al numero 1 c’è il Centro italiano per la promozione della mediazione. Una cooperativa sociale all’avanguardia nel trattamento delle condotte lesive violente e nella giustizia riparativa. Qui lavorano criminologi, psicologi, educatori ed esperti in mediazione che da anni intervengono nelle carceri di Bollate, Opera, San Vittore, Monza e Pavia per altri protocolli che riguardano condannati o imputati per maltrattamenti, stalking, pedofilia e stupro.
Dopo l’ammonimento: il lavoro del CIPM
È qui che da sette mesi è iniziata questa prima esperienza di accompagnamento preventivo. Ad aprire la porta a chi si presenta al colloquio è Paolo Giulini, criminologo e presidente del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM).
Chiaramente noi sappiamo che queste persone la stanno aspettando. Siamo cinque colleghi che hanno il collegamento con la Questura, per cui la questura quando vede un ammonito trova quello libero e fissa l’appuntamento. La persona che ha risposto al cellulare sa già che quel giorno, quando suonerà il citofono, aprirà la porta alla persona di cui ha letto una piccola descrizione di cinque righe, dieci al massimo, in cui è spiegata la dinamica e per quale motivo questa persona è stata ammonita.
Non abbiamo accesso agli atti. Firmata la privacy, abbiamo una piccola scheda davanti, spieghiamo chi siamo e che siamo in coordinamento con questo protocollo con la Questura. Siamo dei criminologi e degli psicologi, prendiamo dei dati anagrafici – dove vive, che lavoro fa – e gli chiediamo di parlare. Come mai a questo punto della sua vita si trova davanti a un criminologo rinviato su suggerimento della questura? E a quel punto la persona ci racconta la sua versione di quello che effettivamente è l’atto per cui viene richiamato dalla parte offesa, che chiaramente molto raramente combacia. È capitato davvero poche volte di avere davanti a me una persona ben consapevole dell’accaduto. Abbiamo avuto 213 invii per l’ammonimento e di questi 170 sono state le persone che si sono presentate, pur non essendo obbligate a farlo. Abbiamo una statistica interessante del 79% dell’efficacia di presentazione. Delle persone presentate – questo è un fattore importante per noi criminologi perchè poi noi dobbiamo lavorare sulla prevenzione della recidiva e sulla gestione delle situazioni di pericolosità che si è manifestata – sono 17 le persone che hanno reiterato le condotte per le quali sono state abolite. Il cartellino giallo dell’ammonimento non è stato sufficiente nei loro confronti: hanno reiterato la condotta. E cosa succede a quel punto? O parte un procedimento penale d’ufficio, per cui comincerà una trafila giudiziaria o gli viene comminata una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale per cui dovrà presentarsi e firmare in questura.
Se solo il 10% ricade in un comportamento molesto, il protocollo funziona e per questo verrà esteso a tutte le questure del Paese. È un modello studiato e tra i più avanzati d’Europa, prima di tutto perché l’ammonimento della polizia ribalta la paura su chi l’ha provocata.
Violenza di genere: la presa di coscienza
È lui che deve temere per l’aggressività molesta che ha messo in campo. Ma questo non basta. E allora come attivare la presa di coscienza, la responsabilità nei confronti di gelosie, ipercontrollo, ossessività, minacce e imposizioni che un uomo in prevalenza – c’è anche uno scarso 10% di donne tra gli ammoniti – e un uomo per oltre l’80% italiano, agisce sulla propria moglie, compagna, fidanzata o ex? Su cosa fare leva?
La cosa importante è proprio questa: discutere con questa persona sulla consapevolezza che l’altro può subire da un suo modo di comportarsi tutta una serie di effetti lesivi. E cerchiamo anche di rilevare la sua fragilità. Il primo strumento che noi utilizziamo è un ascolto consapevole, di quelli che sono i profili di rischio. E poi chiaramente si lavora molto sulla funzione dell’attivare un po’ l’empatia l’empatia nei confronti di chi subisce quelle condotte. Oggi c’è uno strumento di questo tipo, che non è punitivo, per cui qualcuno ha bisogno di riparare a delle cose che sta facendo. I pezzi che si stanno rompendo possiamo rimetterli insieme almeno dal punto di vista psichico per evitare che ne vengano rotti altri. Il nostro legislatore ha deciso di utilizzare questo strumento di tipo riparativo proprio per andare a intaccare quei fenomeni, nell’ambito delle relazioni di intimità, che difficilmente emergono. Questi reati e queste condotte non emergono, sono reati a numero oscuro. E con questo tipo di intervento iniziamo invece a conoscere le situazioni e poi addirittura a prevenirle.
E qui arriviamo al punto. L’intimità, la propria prima di tutto. Spesso così narcisista, rancorosa e supponente da poterci essere sconosciuta. Succede a tutti. Sono pezzi della nostra intimità a volte fragile e titubante, richiedente. Da lì a essere aggressivi o violenti cosa passa? Prima di salutarci, Paolo Giulini mi ha stampato una frase nella memoria: in fondo quello che cerchiamo di far capire è che è ora di smettere di fare i vendicativi quando si ha una sofferenza che non si è mai accolta. E voi ce l’avete una sofferenza che non è stata mai accolta?
Credo che oggi l’intimità e la costruzione di una relazione in intimità siano una sfida per tutti. Stare in una relazione di intimità rappresenta un impegno e un’assunzione di responsabilità. Per queste persone che noi vediamo, che spesso e volentieri sono un po’ egocentrici e un po’ immaturi, l’intimità è un rischio. È a quel punto che la cosa deve essere segnalata e trattata. È un lavoro non tanto culturale, ma una questione di come la persona si pone e della sua capacità di stare in una relazione. Spesso al primo contatto sono persone che funzionano bene anche nella vita professionale, sono adeguate, sono persone che non hanno mai compiuto degli atti particolarmente illeciti, però sul piano dell’intimità rischiano di generare dei disastri ed arrivare a relazioni violente psicologicamente e che magari arrivano anche alla violenza fisica. Noi su questo lavoriamo da tempo e in alcuni casi bastano tre colloqui. Altri casi, quelli più complessi, ce li trasciniamo anche per un anno. È un lavoro trattamentale, non è una terapia. Siamo più dei controllori benevoli che trascinano le persone in una riflessione, non dei terapeuti che portano al cambiamento. Però vediamo che questo funziona. Spetta a loro raccogliere la sfida dal nostro primo incontro, noi siamo sicuramente lì a sollecitarli.