«Passavo ore al computer, di sera, al buio. Avevo una dipendenza compulsiva da pornografia. Chattavo e irretivo. Cercavo donne da sottomettere, in una necessità che mi arrivava dal profondo. Oggi dico che la mia perversione ha raggiunto derive irrispettose, indicibili, violente. Egoista assoluto, non avevo alcuna considerazione per l’altro» ha affermato Stefano, 55 anni, autore di un reato sessuale, separato, ex manager di azienda, padre di due figlie poco più che ventenni, ricostruendo la propria storia.
E aggiunge: «Penso che non mi sentirò mai sicuro. Chiedo di essere seguito ancora, il più possibile, anche se ho finito di scontare la mia pena e ho fatto un lunghissimo percorso (…) Tutti abbiamo un pozzo nero, un abisso che dobbiamo saper riconoscere e gestire. Ho imparato che la responsabilità della scelta è sempre in capo a noi. La svolta è quando smetti di minimizzare, di dire che è colpa di altri. Chi sostiene che la vittima provocava con la minigonna, non ha capito niente».
«[Nella relazione] Godevo della posizione dominante (…)». Un paio di incontri spinti al limite del sadismo, l’aut aut di lei, lo spergiuro («non accadrà più») e invece il terzo appuntamento scivolato nell’abisso. Torture, imposizione, minacce, violenza sessuale. «Lei, che aveva pochi anni più delle mie figlie, ha trovato la forza di denunciarmi», dice oggi Stefano. (Corriere della Sera, Milano)
Mentre era in carcere la figlia minore ha scoperto i percorsi per sex offender attuati dal CIPM e ha convinto il padre a prendervi parte. Stefano viene così trasferito all’Unità di Trattamento Intensificato della II Casa di Reclusione di Milano-Bollate per partecipare all’annualità di trattamento.
È un progetto che produce risultati rilevanti (tasso di recidiva del 4 per cento, contro il 50 per cento senza trattamento), eppure dal 2005 a oggi ha ricevuto solo piccoli finanziamenti spot. «Cerchiamo di sopravvivere con quei fondi e non è semplice – ammette Giulini -. Bisogna prendersi cura di chi viene violato e c’è anche la necessità di comprendere e recuperare chi abusa, per riportare all’umanità quegli individui e per la stessa sicurezza sociale». (Corriere della Sera, Milano)
Oggi Stefano è uscito dal carcere, mantiene i contatti con l’équipe nel Presidio Criminologico Territoriale del Comune di Milano e si espone con coraggio in prima persona per raccontare la sua storia.